lunedì 11 febbraio 2013

~Alla stregua di Poe, dicono.

Quando ci si concentra troppo su un punto fisso, la vista ci gioca brutti scherzi e vediamo aloni di colori scuri, tipo viola o nero, e tutto sembra oscurato. O, ancora, quando guardiamo attentamente qualcosa, senza sbattere le palpebre, e poi chiudiamo gli occhi, l'immagine rimane lì, pulsante nel buio, dietro le palpebre chiuse.
Ci avete appena provato?
E allora, guardando il vuoto, ero indecisa se sbatterle o meno, queste palpebre, perché non sapevo cosa volevo fissare abbastanza a lungo da tenerlo impresso nella mia mente, seppur per pochi secondi, che spesso e volentieri sono meglio di niente.
Ma ho cominciato a pensare.
Come faccio a scegliere di guardare qualcosa di importante per cui valga la pena chiudere gli occhi? Se chiudo gli occhi, lo faccio perché qualcosa mi piace e voglio fissarmelo in testa. Perciò, per cosa scatta questa cosa del tenere stretto in mente, come se si trattasse di un oggetto di inestimabile valore?
Perchè siamo attratti dalle cose, o dalle persone, che poi ci fanno stare male? 
È una cosa che mi tormenta
Perchè andare incontro al fuoco? Perchè lo sentiamo meglio del vento caldo? Ci brucia, a volte ci uccide, e se questo non è masochismo, per quanto inconsapevole e radicato nella natura umana, e io non sono masochista, allora cosa sono?

Sono un'aspirapolvere. Aspiro romanzi, emozioni altrui, stralci di discorsi ascoltati per caso, cose che nomino mie e cose che non mi appartengono, ma di cui mi approprio comunque, e li inserisco in una vita inventata apposta, dove posso immaginare come siano andate davvero le cose. A modo mio, come se tutto dipendesse da me. Fissare sbattere le palpebre chiudere gli occhi e abbracciare con la mente.
Aspiro così tanto che quando mi guardo allo specchio non vedo più me, ma mille e ancora cento ombre diverse di persone diverse e simili a me. Certo, simili in che modo, se non so più che aspetto ho?

Mi hanno detto che Edgard Allan Poe si chiedeva circa il desiderio di autodistruione, di automortificazione, che lui chiamava "the imp of the pervers". Allora l'ho cercato, questo Poe, perché essere stata paragonata a qualcuno per un pensiero sbucato fuori fissando il nulla -senza sbattere le palpebre-, mi ha fatto pensare che forse non sono sola, o non lo sono stata, che le risposte di cui ho bisogno magari nessuno le sa, ma per affinità momentanea qualcuno si è posto le stesse domande. Come quando ci si ritrova con qualcuno a parlare di un qualcosa in comune.
Non è solo appagante. E' profondamente coinvolgente.

Però, dicevo, ho cercato Poe. Oddio, mi sento terribilmente deprimente ora come ora, ma non riesco a mettere il cervello in pausa. Però:
« Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia è o non è una suprema forma d'intelligenza;»
(da "Eleonora" - "Racconti del Terrore", 1841)
Per tutti i pazzi-si-o-non-esattamente-tali, mi sento profondamente coinvolta dal ciarlare di questo tizio. Non era molto apprezzato, ma pochi pazzi vengono davvero apprezzati dagli abitanti della loro epoca, mentre chi non ha potuto conoscerlo in vita lo celebra nella morte. Tutto per la già approvata teoria in cui la grandezza di una persona viene riconosciuta al momento della sua morte, e allora chi rimane viene inondato da questo senso di disagio e pietà che dura meno di quanto l'immagine fissata danzi dietro le palpebre. E' una cosa triste, perché dimostra che si celebri più la morte, della vita.
I funerali, ecco, sono per i vivi. Non per i morti. Loro non sentono più nulla, se non nella macabra consolazione dell'anima che si attarda con un sorriso tiepido sul viso, prima di solcare le nuvole e volare in cielo.
Voglio dire... ok, se ti fa stare meglio. Le persone vivono accanto a te fin quando muoiono. Allora entrano dentro di te, se le hai amate in vita, e sta sicuro che da lì nessuno te le porta via, se non vuoi.

Cavolo, sto parlando della gente morta. Non so niente, e non sono un'aspirante psicologa. Sono un'aspirapolvere. E ora devo andare.
Feu

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